Scacchi, costa sta succedendo tra Carlsen e Niemann | L'Ultimo Uomo

2022-10-09 12:04:10 By : Ms. ZSCMALLS ZHONGSHENCHUANG

Un caso che sta avendo grande rilevanza e che potrebbe cambiare il mondo degli scacchi.

Per uno strano cortocircuito, un gioco antico ed essenziale come gli scacchi, che si ripete pressoché inalterato da secoli, può aprirsi talvolta a risvolti inaspettati ed esplosivi. Due giocatori, sessantaquattro case, sedici pezzi a testa, regole pressoché immutate: è difficile immaginare un gioco più perfettamente simmetrico degli scacchi, nonché un gioco più puro e “giusto”. Eppure anche l’imbroglio è sempre stato un elemento costituivo degli scacchi.

Su un terreno di gioco così neutro, poi, il minimo intervento esterno può mutare radicalmente i valori in campo. Gli scacchi, agli occhi di chi non ne comprende le sottigliezze tecniche, ha una parte misteriosa, quasi esoterica che flirta con l’idea di imbroglio. Come è possibile a partire da così pochi pezzi e spazi a disposizione creare un gioco tanto complicato, dove le possibilità sono infinite e dove un’intuizione geniale può ribaltare una partita? È l’idea di sfida dello sport che si unisce al fascino dell’alta matematica, e che da qualche decennio abbraccia un’altra idea suggestiva, quella di intelligenze artificiali superiori all’uomo e, chissà, pronte a rimpiazzarlo.

Per tutti questi motivi, l’imbroglio, o cheating, negli scacchi è argomento quantomai attuale seppure nessuno ne parla volentieri perché imbrogliare in un gioco così nobile e trasparente è un gesto di disumanità rara, di quelli che meritano un posto speciale all’inferno. Tuttavia, se accettiamo che il fine giustifichi i mezzi, gli scacchi non si sottraggono al paradosso di ogni sport professionistico, dove denaro e carriera possono entrare in conflitto con la sportività.

Ogni tanto, però, la corrente risale a galla ed esplode in fatti clamorosi, autentici scandali come quello recentemente accaduto fra Magnus Carlsen e Hans Niemann.

Magnus Carlsen, trentunenne norvegese, è il più forte scacchista attualmente in attività, secondo alcuni il migliore di sempre. È campione del mondo in carica, avendo già difeso il titolo in quattro occasioni, anche se ha già annunciato che rinuncerà molto probabilmente alla prossima sfida per mancanza di motivazioni. È in stato di grazia, peraltro, perché quando a inizio settembre si presenta alla prestigiosa Sinquefield Cup di St. Louis viene da oltre cinquanta vittorie consecutive. Il suo avversario è Hans Niemann, diciannovenne americano da poco entrato fra i primi cento giocatori del mondo, lunghi capelli ricci e una di quelle facce perennemente sospese tra genio e follia, come talvolta hanno gli scacchisti. Anche l’atteggiamento non è certo inquadrato come quello del norvegese. Poco tempo prima i due si sono affrontati in una sfida rapida, a Miami, dove Niemann ha strappato una vittoria nella prima partita celebrando con un “Chess speaks for itself!”, qualcosa come “la scacchiera ha parlato” – poco fortunato e ancor meno profetico, perché Carlsen lo ha dominato nelle tre partite successive.

Ad alti livelli la vittoria non è mai assicurata, ma nessuno si aspettava quello che sarebbe successo. Carlsen ricorre a una tattica per lui collaudata contro giocatori di livello più basso: cerca di sorprenderli con aperture poco praticate, adottando ben presto delle varianti insolite sicuro di saper navigare meglio di chiunque altro le acque tempestose delle linee non canoniche. Niemann però sembra leggere Carlsen come un libro aperto, fin dalla prima mossa. Lo tiene a bada con ordine, lo inchioda in un fine gioco scomodo e infine lo batte pur giocando con i pezzi neri, cioè con lo svantaggio di partire per secondo.

Il vero scandalo però è quel che accade dopo. Carlsen si ritira dal torneo, senza nemmeno concludere la fase iniziale a gironi, e accende la miccia della polemica comunicando la decisione con un tweet chiuso da una clip video di José Mourinho, quella in cui l’allenatore pronunciava: “Se parlo, finisco in guai grossi”.

I’ve withdrawn from the tournament. I’ve always enjoyed playing in the @STLChessClub, and hope to be back in the future https://t.co/YFSpl8er3u

Esattamente come Mourinho, Carlsen non parla. Il resto del mondo scacchistico, invece, non risparmia analisi e congetture. Carlsen sta certamente suggerendo qualcosa di losco e deve essere convinto che Niemann abbia barato. Il primo ad affermarlo con certezza è Hikaru Nakamura, altro fortissimo giocatore e tra i più celebri ambasciatori degli scacchi nella loro dimensione online. «Magnus non avrebbe mai fatto un gesto del genere se non fosse stato sicuro di un imbroglio» dice Nakamura. In quanto a prove, però, nessuno le fornisce. Se Carlsen è in silenzio stampa, i commenti dell’altro protagonista si muovono tra modestia e spocchia. «Dev’essere stato imbarazzante per Carlsen perdere contro un idiota come me» dice Niemann, irritato dall’abbandono dell’avversario e dalle insinuazioni che seguono. Per spiegare la vittoria, invece, quasi a discolparsi, chiama in causa un colpo di fortuna “miracoloso”. Sostiene di essersi preparato proprio per la specifica apertura giocata da Carlsen quel giorno, studiando le possibili linee alternative, tuttavia quando gli era stato chiesto di analizzare la posizione era andato in difficoltà. Poi però, aprendosi in un’intervista che attizza il fuoco delle polemiche, Niemann svela anche di aver barato per davvero in passato, quando era un ragazzino, ma giura di averlo fatto solo in partite online e di essersene pentito amaramente. È talmente cristallino nella sua risoluzione che si dice disposto anche a giocare nudo, per fugare ogni sospetto.

La tavola è già abbondantemente apparecchiata quando i due si trovano a fronteggiarsi di nuovo, stavolta in un torneo online, la Julius Baer Generation Cup. Stavolta è Niemann a muovere per primo con i pezzi bianchi. Sposta un pedone, Carlsen risponde con i pezzi neri muovendo un cavallo, Niemann muove un altro pedone, e a quel punto il norvegese, anziché procedere alla sua seconda mossa, concede la vittoria all’avversario e spegne la webcam. Che abbia già annusato qualcosa di strano da quelle due mosse – un altro “miracoloso colpo di fortuna” che ha permesso a Niemann di intuire il suo piano partita? Oppure, più probabilmente, aveva già deciso in anticipo di ritirarsi, sempre in polemica per la partita precedente oppure perché in possesso di informazioni su Niemann che non vuole rivelare?

Stavolta Carlsen abbandona solo la partita e non il torneo, nel quale peraltro prosegue fino alla vittoria, ma la comunità scacchistica comincia a rivoltarglisi contro. Accusare senza prove, o addirittura alludere senza accusare come in questo caso, è per alcuni una mossa da “bullo”, una provocazione che Magnus può permettersi per via della sua posizione di rilievo, ma che scavalca l’autorità degli organi competenti. La FIDE infatti emette subito una reprimenda per Carlsen, ma annuncia al tempo stesso approfondite indagini su Niemann. Qualcosa, sotto la superficie, si sta muovendo. Chess.com, la principale piattaforma di scacchi online, ha già bandito Niemann dicendosi a conoscenza di episodi di cheating più gravi di quelli ammessi dallo stesso giocatore. Carlsen prende la palla al balzo e continua a provocare. “The resignation speaks for itself” scrive in un tweet a proposito del suo ritiro polemico, facendo eco a quell’esultanza un po’ spaccona dell’avversario. E poi, aprendo leggermente la saracinesca dei suoi pensieri, fa capire che sì, la provocazione era rivolta al problema del cheating (un problema «serio e sottovalutato», a suo dire), e che il bersaglio, più che lo stesso Niemann, poteva essere il suo allenatore Maxim Dlugy, a sua volta bandito da Chess.com e al centro di numerose controversie.

E così arriviamo agli ultimissimi sviluppi, con Niemann fermo sulle sue posizioni, la FIDE che indaga e Carlsen che, sciogliendo infine quel silenzio/ricatto che gli stava attirando numerose antipatie, ha finalmente reso esplicita la sua posizione con un comunicato su Twitter. “Quando ho saputo che Niemann era stato invitato all’ultimo minuto alla Sinquefield Cup, ho pensato subito di rinunciare all’evento, ma poi ho deciso di partecipare lo stesso. Sono fermamente convinto che Niemann abbia imbrogliato più spesso – e più recentemente – di quanto da lui ammesso. I suoi progressi negli scacchi dal vivo sono stati insoliti, e durante la nostra partita alla Sinquefield Cup ho avuto l’impressione che non fosse teso e nemmeno pienamente concentrato nelle mosse cruciali, il tutto mentre mi surclassava giocando con il nero, cosa che solo una manciata di giocatori al mondo saprebbero fare. Quella partita ha contribuito a cambiare il mio punto di vista sulla questione”.

Una storia del cheating negli scacchi

Come potrebbe aver barato Hans Niemann? E come è possibile accertarsene? Nella storia degli scacchi, dicevamo, l’imbroglio è sempre stata una costante. I primi episodi affondano le radici nel folklore, ma è singolare come queste storie abbiano tracciato una strana coincidenza con i giorni nostri. L’automa detto Il Turco, realizzato nella seconda metà del ‘700 da Wolfgang von Kempelen per Maria Teresa d’Austria, doveva dare l’idea di un marchingegno meccanico, una sorta di robot dalle fattezze mediorientali, in grado di giocare – e vincere – a scacchi da solo (all’interno era chiaramente manovrato da un uomo in carne e ossa, ma l’inganno spesso aveva successo).

L’aspetto prettamente mentale, magico e talvolta anche ipnotico degli scacchi è al centro di altri famosi casi o sospetti di cheating. Si diceva che il prodigioso Mikhail Tal sapesse suggestionare gli avversari con il suo sguardo magnetico, e un avversario sovietico si presentò alla scacchiera con un paio di occhiali da sole. Tal, divertito, mandò un amico a comprargli a sua volta degli occhiali da sole, di dimensioni esagerate, e li indossò creando una delle scene più comiche nella storia della disciplina.

Occhiali da sole che tornarono alla ribalta sulla scacchiera dei mondiali 1978, fra Korchnoi e Karpov, in un clima fitto di ostilità e paranoia. Korchnoi accusò la squadra di Karpov di inviare messaggi cifrati al giocatore tramite degli yogurt al mirtillo che consumava nelle pause, e di aver posizionato un ipnotizzatore in prima fila – per difendersi dal quale Korchnoi prese a indossare degli occhiali a specchio. Nei turbolenti scacchi degli anni ’70 e ’80, attraversati dai venti della guerra fredda, simili polemiche erano all’ordine del giorno, ma fu soltanto negli anni ’90, con l’avvento dei più potenti computer scacchistici abbinati ad apparecchi tecnologici sempre più piccoli, che il problema del cheating assunse una nuova dimensione, attraverso casi al limite dell’assurdo.

Nel 1993, un perfetto sconosciuto, e del tutto ignorante sugli scacchi, si iscrisse ai World Open con il nome falso di John von Neumann e cominciò a raggranellare vittorie importanti, una anche contro un grande maestro. Com’era facile sospettare, l’uomo aveva le cuffie alle orecchie, e nella tasca della giacca nascondeva un oggetto che vibrava a certi intervalli; fu prontamente scovato e squalificato.

Nel 2006 arriva forse lo scandalo ad oggi più famoso e discusso, perché rimasto insoluto. Nella sfida per il campionato del mondo fra Topalov e Kramnik, quest’ultimo, il campione in carica, cominciò ad assentarsi per ripetute e sempre più sospette “pause bagno”, anche per decine di volte a partita. Kramnik cominciò la sfida (diventata poi nota come Toiletgate) con un risultato positivo, ma anche con una serie di mosse che seguiva pericolosamente da vicino le predizioni dei supercomputer. Quando gli organizzatori del torneo, su invito della squadra di Topalov, strinsero i bagni sotto ulteriore sorveglianza, non trovarono nessuna prova di imbroglio; la sfida però, per un motivo o per un altro, tornò in equilibrio, finché Kramnik non prevalse comunque allo spareggio.

Dagli anni 2000 in poi, i casi di cheating tramite cellulari, auricolari e apparecchi assortiti diventarono numerosi nei tornei minori, ma assai meno frequenti in quelli maggiori, perché il gioco, nella maggior parte dei casi, non valeva la candela. Venire sorpresi con un trabocchetto del genere significava abbandonare quasi ogni speranza di carriera. Ma per un giocatore che non aveva nulla da perdere, come l’ormai cinquantottenne Igors Rausis, valeva la pena di tentare l’azzardo. La sua posizione in classifica s’impennò improvvisamente, portandolo fino al numero venti del mondo, facendo incetta di tornei di basso profilo – e, evidentemente, di bassa sorveglianza. Finché al torneo di Strasburgo del 2019 una telecamera posta nei bagni non svelò il suo imbroglio, che consisteva, in maniera semplice ma efficace, nell’approfittare di un telefono nascosto sotto gli abiti durante le pause bagno. Non contento della severissima punizione, Rausis si presentò a un nuovo torneo l’anno successivo sotto falso nome, ma venne scoperto e allontanato molto presto.

Al giorno d’oggi, gli strumenti sul banco dell’accusa sono ovviamente i computer scacchistici, che da ormai molti anni hanno superato agevolmente le capacità umane spingendosi recentemente, grazie alle tecnologie di machine learning, a concetti di gioco difficilmente immaginabili. Negli anni immediatamente seguenti la prima, storica sconfitta di Kasparov contro Deep Blue alcuni giocatori, come l’inglese Matthew Sadler, pensavano che i computer avrebbero ucciso gli scacchi. È successo tutto l’opposto, in verità, perché se da un lato il continuo confronto con l’intelligenza artificiale rischia di “appiattire” il gioco ad alti livelli, i computer si sono rivelati fenomenali strumenti di studio e allenamento per i giocatori migliori che, come Carlsen, hanno raffinato il proprio stile nell’ottica di ragionare il più possibile come uno Stockfish o un AlphaZero. Al tempo stesso, le intelligenze artificiali hanno avvicinato il grande pubblico agli scacchi, che stanno vivendo un’inaspettata esplosione di popolarità coincisa anche e non casualmente con i lockdown pandemici: seguire le partite online è diventato più appassionante, grazie ai computer che possono analizzare e predire ogni mossa. Inoltre declinate a vari livelli di difficoltà, i computer sono anche ottimi compagni di apprendimento per i giocatori amatoriali.

Ma se il problema del cheating dovesse rivelarsi così ingente come suggerito dalla vicenda Carlsen – Niemann, allora i computer potrebbero realmente aver rovinato gli scacchi, sebbene per vie traverse. Attingere ai velocissimi suggerimenti di un motore scacchistico è facile, basta un telefono cellulare, e il cheater potrebbe sfruttare qualsiasi dispositivo in grado di trasmettere segnali per ricevere l’informazione in modo discreto. Anche delle semplici vibrazioni. Elon Musk ha diffuso sui social network la teoria secondo cui Niemann avrebbe barato proprio grazie a un simile “dispositivo rettale”, ragione che ha spinto il diciannovenne americano alla proposta di giocare nudo.

I tornei osservano, non a caso, un rigido protocollo di sorveglianza anti-cheating: negli eventi dal vivo il luogo più delicato è il bagno, dove il giocatore potrebbe consultare strumenti nascosti, mentre negli eventi online gli organizzatori controllano tramite video la stanza del giocatore, il suo schermo e persino le orecchie, alla ricerca di auricolari o altri aiuti simili. In un torneo tenutosi in India i giocatori sono persino stati ispezionati alla testa con uno scanner magnetico.

Ma ci sono altre misure più nascoste, che fanno pensare al mondo dello spionaggio e della polizia. Danny Rensch, di chess.com, ha detto: «Creiamo una sorta di analisi della scena del crimine per ogni giocatore del mondo». Questo significa delineare un quadro scientifico della carriera e delle tendenze di ogni giocatore, qualcosa a metà fra un test del DNA e una macchina della verità, per poter individuare e isolare l’emergere di eventuali anomalie. Ci sono diversi segnali d’allarme da considerare, più o meno palesi. Un improvviso miglioramento nei risultati di un giocatore, ovviamente, ma anche il ricorso a mosse inedite, scelte particolarmente rapide in situazioni che avrebbero richiesto una lunga riflessione, o ancora linee troppo vicine a quelle suggerite da un computer.

L’equilibrio, lo si capisce, è davvero sottile. Chess.com, pur non avendo ancora scoperto le proprie carte, ha evidentemente scovato qualcosa di sospetto sul conto di Niemann. Di diverso avviso è però Ken Regan, autentico guru di questo tipo di analisi, che invece non ha trovato motivo di dubitare dell’onestà di Niemann, citando una normale curva nei risultati e la probabilità di un esito “miracoloso”, mai da sottovalutare secondo la legge di Littlewood: “La definizione più comune di miracolo è una probabilità su un milione, quindi, se si osservano un milione di eventi al giorno, assisteremo a un miracolo su base quotidiana. Se parliamo di scacchi online, un milione di partite al giorno è ordinaria amministrazione”.

In attesa di altri sviluppi e rivelazioni, cosa ci lascia la querelle Carlsen – Niemann, quella che alcuni già definiscono, per proporzioni, modi e impatto, uno dei maggiori scandali nella storia degli scacchi? In primo luogo, le note più spigolose della vicenda, avvalorate dai commenti di altri giocatori di rilievo, suggeriscono come il problema del cheating negli scacchi, specialmente nella versione online, sia molto più grave di quanto il pubblico percepisca e di quanto gli organi competenti vogliano ammettere, al punto da mettere a rischio l’integrità del gioco, anche perché, come ricorda la GM Susan Polgar, una delle giocatrici più forti di sempre, «ad alti livelli i giocatori non hanno bisogno di ricevere dal computer consigli su ogni mossa, ma è sufficiente un suggerimento chiave nel momento critico per alterare l’intera partita». Se dovesse concretizzarsi un simile scenario, così desolante per la credibilità degli scacchi, il gioco finirebbe forse per concentrarsi, come suggeriscono alcuni, sui formati rapidi, dove c’è poco tempo per pensare e ancora meno per consultare ausili informatici, o chissà, in qualche variante come gli Scacchi960 di Bobby Fischer.

In un’epoca in cui le intelligenze artificiali stanno prendendo piede in ogni campo dello scibile e in ogni applicazione pratica, con i motori scacchistici ad agire spesso da portabandiera presso il pubblico (AlphaZero, nato per gli scacchi, dopo il ritiro si è dedicato alle scienze, come alla chimica), la vicenda invierebbe inoltre un messaggio poco confortante. Oltre un certo limite, i computer – che siano meri strumenti o entità più o meno autonome – finiscono per intralciare i piani umani, sostituendo a quel fascino alieno che tanti scacchisti provano per le prodezze delle intelligenze artificiali una sensazione di freddezza, di incomunicabilità.

E se invece Carlsen stesse davvero tirando troppo la corda, approfittando del suo status per lanciare provocazioni senza accuse fondate? Nigel Short, grande maestro britannico, ha avuto l’impressione che «Carlsen stia affrontando un conflitto interiore, e questo forse influenza la sua capacità di giudizio». Come abbiamo accennato, il norvegese ha rinunciato alla possibilità di difendere il titolo di campione del mondo, una notizia che ha suscitato scalpore ma che, in realtà, nasconde motivazioni più pratiche di quel che si possa immaginare – monetarie, in primo luogo. Carlsen non ha certo abbandonato gli scacchi: ha semplicemente preferito dedicarsi a tornei ed eventi che gli garantissero più motivazioni, esposizione e guadagni rispetto a un campionato mondiale che non ha più gloria da offrirgli.

Siamo ben lontani, ad esempio, dalle proteste del già citato Bobby Fischer che abbandonò gli scacchi in aperta polemica con la federazione. L’idea però è che, fra l’accelerazione sempre più violenta delle intelligenze artificiali e la popolarità del gioco online, qualcosa all’interno degli scacchi stia premendo con forza verso il cambiamento, sia nell’aspetto esteriore della disciplina sia nei suoi elementi – e vizi – costitutivi. Carlsen potrebbe essersi posto, più o meno legittimamente, come alfiere di questo cambiamento. Gli scacchi, per quanta potenza possano sfoderare le intelligenze artificiali, non sono un gioco risolto e forse non lo saranno mai; le combinazioni possibili fra quei trentadue pezzi sulle sessantaquattro caselle sembrano semplicemente troppo alte per calcolare la partita perfetta. Ma l’intelletto umano non è fatto per tendere all’infinito e si accontenta anche di una vittoria ottenuta con l’imbroglio.

Nel suo ultimo comunicato, Carlsen ha utilizzato parole ben pesate e importanti. Il cheating non è soltanto un “big deal”, un grosso problema, bensì un “existential threat to the game”, una minaccia per la natura stessa del gioco, per la sua “santità”, sempre per usare le parole di Carlsen. Sotto questo aspetto, alcuni temono che i computer possano aver “rotto” il gioco per come lo conosciamo, a meno di non far spogliare i giocatori nudi e posizionare la scacchiera dentro una gabbia di Faraday.

Andrea Cassini (1988) è scrittore, traduttore e giornalista. Ha collaborato con FIBA, ma oltre al basket ama gli sport più disparati. Scrive di cultura per L'Indiscreto e ha pubblicato racconti e saggi su riviste e antologie. "Non tutto il male - Cronache della terra inabitabile" (effequ, 2021) è il suo primo romanzo.

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