Incontro con Myss Keta: "Il mio sogno? Cantare con Mina. In stanze diverse, senza svelarci l’una all’altra" - la Repubblica

2022-10-09 12:01:28 By : Ms. Louise Zheng

Per il nostro drink, dalla sua sconfinata collezione feticista di occhiali da sole, quelli che quando cala il tramonto nella sua idea «diventano occhiali da sera», perché comunque non le svaniscono mai dal volto, Myss Keta ha estratto un modello Versace, Medusa Biggie, verde ottanio, in pendant cromatico con la manicure: «Donatella è un’amica, ci siamo promesse un Bloody Mary post estate. Finisco i concerti e ci vediamo per la fashion week. Non vedo l’ora di ballare con le feste della moda». Ma è un altro l’incontro, tra «bionde che contano e abbondano», che invece si è consumato a fine agosto, quando Myss è stata la special guest del concerto per i 60 anni della Costa Smeralda a Porto Cervo e dal palco ha evocato la venere sarda Valeria Marini: «Non una come me, nata dalla spuma della fontana del parco di Porta Venezia a Milano. È bastato lanciarle un saluto per gioco, che si è materializzata sul mio cellulare. E giù messaggi vocali e baci stellari a tarda notte. Niente più dell’ironia intelligente predispone la mia pesca a essere donata».

Attitudine timida, fronte coperta dalla frangia, occhi dalle lenti, a mascherare il resto del volto di Myss, dalle orecchie al mento, ci pensa una veletta di maglia metallica, fulcro estetico del suo mistero identitario: «Non sento più il bisogno di spiegare un look sul quale nemmeno il pubblico si fa più tante domande. Mi presento così e i fan, i ketamini, si divertono a immedesimarsi nell’idea di un’entità umana indefinita che la mia immagine proietta».

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Disco di platino con Finimondo, ottava traccia dell’album Club Topperia, il terzo della sua carriera, Keta, è stata scelta da Spotify (dove il brano ha quasi 20 milioni di ascolti) come donna simbolo del mese di settembre del progetto Equal, a sostegno di una maggiore presenza di creatività femminile nella musica. Icona della comunità Lgbtq+, celebrata nelle notti calde dei pride da Padova a Palermo, il suo tormentone – che gira intorno al ritornello campionato da Il capello di Edoardo Vianello – è balzato come riempipista nazionale, girando dalle baby dance in riva al mare fino alle discoteche dove i Gen Z ignorano che i loro nonni si sono avvinghiati e dondolati, quelli sì erano veri boomer, con quella stessa calda voce, ma a ritmo di twist.

Aperitivo al Bar Basso, indirizzo monumentale nella mappa della milanesità heritage-creativa, che secondo Myss Keta ha sempre «la carta di credito tra i denti» e presso la quale lei trova sostentamento emotivo: «Parlo il gergo milanish, vivo nel quartiere più inclusivo e anticonformista, in equilibrio tra il passato e il desiderio di accogliere tutto quello che è ricerca e futuro. Non ho una biografia personale, ma vivo quella del personaggio Myss Keta». Lei ordina un Cosmopolitan e i camerieri la omaggiano dopo qualche minuto sparando nell’etere la sua hit: «Grazie ragazzi. Felice anch’io di essere tornata».

L’estate più felice della sua vita? «Per Myss Keta senza dubbio. Sono partita da Cremona con un concerto dove Finimondo la cantavano le prime tre file e ho finito con l’impressionante boato dell’Arena di Verona, con il pubblico a squarciagola».

C’è un po’ di fifa per il successo? «Non me lo aspettavo. Non così. Però l’idea che questa sia una tappa importante mi infastidisce. Le milestone non si rinnegano, ma non devono essere dei limiti all’ambizione».

Che cosa rimane? «Beh, cantare con Mina. In stanze diverse, senza svelarci l’una all’altra. In realtà non mi voglio porre obiettivi, mi interessa essere una miccia per far esplodere l’animo, la testa e il desiderio di qualcuno che ascolta, ma che soprattutto guarda».

Le sue micce sono state? «Madonna su tutte. Il suo messaggio era irriverente, la sua identità una provocazione continua. Senza dubbio centrale è il lavoro di Peaches, poi Grace Jones e la miccia nazionale di Raffaella Carrà. Esprimo la mia passione in modo verticale, scavando un mondo alla volta. Ora sono ancora nella fase Studio 54, presa dal valore delle disco, come luoghi di espressione vitale che generano una speciale cultura, la cui influenza viene spesso sottovalutata. Club Topperia raccoglie e racconta questo».

Finimondo ha avuto l’effetto di completare la trasformazione mainstream di Myss Keta, da personaggio delle notti milanesi, a celebrità nazionale. Non ci era riuscito il palco di Sanremo in duetto con Elettra Lamborghini, né le tante collaborazioni con Arisa, Mahmood, Elodie o Gué Pequeno. Perché? «Potenza del tormentone. Banalmente sentire la mia canzone mentre faccio la spesa al supermercato mi fa capire che buone vibes posso trasmettere nella scelta dei pomodori per la mia adorata insalata greca. Questo non tradisce le mie origini».

Che per amore di cronaca riassumiamo in...? «La noia genera le idee migliori o le peggiori. E, a volte coincidono. Nell’agosto del 2013, l’essere rimasta in città con i ragazzi del collettivo Motel Forlanini, ha dato vita a una piccola scheggia impazzita, un brano cantilena, Milano sushi e coca, che si è fatta largo nei club. Con il video di quel brano è nata Myss Keta. Sono convinta che donne che rappano su basi elettroniche, come per esempio Frangetta - Il Deboscio, possano rappresentare un momento specifico, nel tempo e nello spazio, dal quale prende forma qualcosa».

Myss Keta esordisce al Glitter Club di Milano, tempio del trasformismo e dell’esibizionismo. «Al primo live ero vestita come una pazza: reggiseno fatto con due faccini smile, codini alti, balaclava rosa shocking che mi copriva tutta la testa. Giuseppe Magistro e Fabrizio Ferrini, stylist e fondatori del Glitter (anime editoriali di Hunter fashion magazine, ndr), hanno dato vita al personaggio Myss Keta, che intorno aveva una gang di animazione. Mi hanno fatto capire la potenza della moda, intesa come espressione di costume e come mezzo di comunicazione».

Oggi i fashion brand la cercano? «Sì, tanti, ma non voglio fare name dropping. Basta guardare il mio Instagram per farsi un’idea. La moda in quanto ossessione del lusso la trovo quasi grottesca. Preferisco attribuire ad abiti e accessori, l’essere dei mezzi per rivelare un’idea. Oppure, la sintesi di quell’idea. Tutto il gruppo che lavora a Myss Keta ama la moda per la sua capacità di rompere e interrompere. Può essere sporca, iconoclasta, punk, pop, l’importante è che serva a lanciare un messaggio che passi sopra ogni cosa».

È vero che ha lavorato nell’ufficio stile di Moncler? «(Silenzio prolungato…). Non lo rivelo. Sono stata musa e modella, sono amica di molti designer che lavorano in tanti uffici stile, che pensano come me che la moda sia una leva». 

La performer Myss Keta che rapporto ha con il suo corpo? «Ovvio che da milanese faccia yoga e vada dall’analista. La risposta seria è che alte, magre, basse e grasse, non fa differenza, perché il corpo è politico, parla, muovendosi nello spazio e provocando reazioni negli altri. Myss la porto in giro con la sua sensualità e sul palco mi sento lontana dal condizionamento degli occhi».

Che significa? «Che è chiaro che sento addosso lo sguardo. Che faccio pensieri sul giudizio che gli altri potrebbero esprimere su di me. Il pensiero dominante viene superato solo quando mi sento libera con me stessa. Allora mi sgancio e capisco quanto sia bello agganciarmi all’interiorità. È lì che tutti trovano davvero il loro spazio di libertà. Le polemiche sul corpo rendono stancante camminare nel mondo, perché ancorano a idee che non vale la pena siano le nostre. Caricarsi di quelle preoccupazioni significa trasformarli in malesseri».

Invece, Le ragazze di Porta Venezia, la crew femminile che ha dato il titolo a un suo singolo di successo e a differenti remix e collaborazioni, riescono ad abbattere i complessi? «Lo spirito di sorellanza le sostiene. Loro non sono un fenomeno milanese, sono come le protagoniste del film Le Splash, trasposte dal racconto Mimi e Istrioni di Pier Vittorio Tondelli, che racconta di un gruppo di bolognesi. Incarnano tutte la forza della ribellione il desiderio di sbeffeggio, la volontà di comandare e ribaltare. Escono dalla fermata della metropolitana, in quei Bastioni sospesi tra il quartiere del Lazzaretto, le facciate delle case liberty e il grande Corso abitato dalla buona borghesia imprenditoriale e marciano irriverenti, vogliono godere, mettendo paura, come è giusto che sia».

Come Giovanna Hardcore, altro personaggio di una sua canzone? «Le mie non sono delle boutades. C’è una coerenza nel discorso che porto avanti con il produttore musicale Stefano Riva e la curatela visiva di Dario Pigato».

Tanto sesso nella sua musica. Ha ancora un valore importante? «Sì, è importante. Perché è corporalità. In un mondo così Metaverso-friendly bisogna acquisire coscienza che toccarsi trasmette sensazioni, è una riconnessione essenziale. Ci si conosce e si conosce il mondo attraverso il corpo e il sesso ti fa ricordare di essere corpo».

Il suo sguardo non saprei, ma la sua voce tradisce una certa sofferenza. Perché? «Forse perché la clausura da Covid ha lasciato una traccia pesante in me. Mi sono sentita triste. Io mi definisco pansessuale, non mi pongo alcun confine sull’identità della persona che può sedurmi».

Lo sa che le sue canzoni le ballano anche i bambini? «Ne sono entusiasta. Ma io non sono una cantante. Sono una che inventa cantilene. Soprattutto, resto una performer con il senso del ritmo alla quale, tra un progetto e l’altro, è venuta voglia di esplorare la vocalità, cercando di capire come posso lavorarci in termini di spoken word, per non fare sempre la stessa cosa».

Myss Keta sta per compiere 10 anni. «Myss non invecchia, però confesso che ho dei riflessi boomer chic. Infatti sono appassionata di meme ed è una gioia vedermi protagonista nei Buongiornissimo Kaffè. Come in realtà, alla fine, il vero must è essere riuscita a mantenermi con questo lavoro».